I pompieri

Antico è l’uomo, antico è il fuoco.

Il dono di Prometeo, che ha rubato il fuoco agli dèi per restituirlo all’uomo, è una benedizione e un pericolo, uno strumento e un’arma. Gli uomini hanno dovuto dapprima imparare a conservarlo, poi ad accenderlo e in seguito a spegnerlo. Perché le stesse fiamme che consentono di scaldare i cibi e sopravvivere, possono anche essere letali. 

Per questo all’epoca di Augusto nasce il primo corpo di Militia Vigilum, che ha il compito di prevenire e contrastare le fiamme nell’antica Roma, compito talmente importante da spingere Tiberio a concedere la cittadinanza romana ai liberti che prestavano servizio per 6 anni.

Quello della nascita del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco è un percorso molto lungo, frutto del connubio tra diverse organizzazioni nate tra il XIX e il XX secolo: la Brigade dei Sapeurs-Pompiers di Parigi, frutto di un’idea dell’industriale Dumourrier-Duperrier; la prima Compagnia Guardie a Fuoco per la città di Torino istituita da Carlo Felice; ma anche tutti quei corpi su base volontaria e regionale che operavano a favore della collettività.

Dalle pompe a vapore trainate dai cavalli alle autopompe, la difesa dal fuoco ha una storia millenaria.

I POMPIERI PRIMA DEI POMPIERI

La Roma dei primi secoli dopo Cristo era una metropoli di un milione di abitanti.

“Ho trovato una città di mattoni, ne lascio una di marmo”, questa frase della propaganda di Ottaviano Augusto, primo imperatore, non è del tutto vera: accanto ai fori e ai grandi palazzi imperiali si stendeva una città fatta di materiali estremamente infiammabili: mattoni, spesso mal cotti, legno, e soprattutto paglia, usata come isolante sui tetti e la causa principale dello scoppio degli incendi nelle abitazioni. Ogni lampada a olio che cadeva a terra era un possibile principio di incendio, ogni scintilla che fuoriusciva dai camini e che veniva trasportata dal vento un potenziale pericolo.

La Militia Vigilum è considerato il primo vero corpo organizzato dei Pompieri nella storia. Voluta nel 6 a.C. da Ottaviano Augusto era un vero e proprio esercito, organizzato in 7 coorti (7000 uomini) che si occupava delle questioni di ordine pubblico e dello spegnimento degli incendi, ed era dislocato in varie caserme nell’Urbe. Una di queste, l’excubitorium, sede della VII Coorte dei Vigili, è stata ritrovata dagli archeologi ottocenteschi a Trastevere, 8 metri sotto l’attuale piano di calpestio della città. Si tratta di un grande ambiente decorato da un mosaico che raffigurava mostri marini e tritoni con in una mano una fiaccola spenta, a indicare il fuoco domato, e nell’altra una fiaccola accesa puntata in direzione del mare, la cui acqua simboleggiava il principale strumento per spegnere gli incendi. Al centro della sala si trova una fontana esagonale e addossata alla parete un’edicola dove erano venerate le divinità protettrici dei Vigiles. Intorno alla stanza si aprono ambienti di servizio le cui pareti erano ricoperte di graffiti incisi dai Vigiles nei momenti di riposo. Si legge "ubi dolor ibi vigiles", dove c’è il dolore lì ci sono i vigili, ma anche la richiesta di un militare esausto: "lassum sum successorem date", sono stanco, datemi il cambio.

Con la fine dell’Impero Romano d’Occidente e l’indebolimento del potere centrale, si sfalda di conseguenza l’apparato amministrativo. La gestione degli incendi diventa di esclusiva competenza dei cittadini, che si trovavano a gestire città dove i materiali da costruzione rimanevano quegli stessi dell’antichità, altamente infiammabili, ma nel frattempo erano venuti meno un gruppo d’intervento organizzato e un sistema di rete idrica che, efficientissimo in epoca romana, andava lentamente decadendo a causa della mancata manutenzione. E così nel Medioevo si registrano i più grandi incendi della storia delle città europee: Vienna, Londra e Parigi più volte nei secoli sono state ridotte in cenere dalla furia delle fiamme, rendendo sempre più impellente l’esigenza di ricostituire un corpo centrale strutturato in modo tale da domare il fronte del fuoco. Impresa non facile: perché un intervento fosse veramente efficace era necessario mettere in campo una forza lavoro impressionante – forse la più grande a cui si possa pensare, fatta eccezione che per le guerre. Il fuoco lo fermi solo così.

Fu Napoleone Bonaparte a risvegliare l’attenzione sulla lotta agli incendi. É la notte del 1° luglio 1810 quando a Parigi scoppia un gravissimo incendio durante un ricevimento all’Ambasciata d’Austria, che miete diverse vittime tra i nobili presenti, tra cui la moglie dell’ambasciatore austriaco, Pauline de Schwarzenberg, morta nel tentativo di trovare la figlia che, nella calca, aveva perso di vista.

Testimone diretto delle operazioni di soccorso ed estinzione del rogo, l’imperatore Napoleone riscontra non poche debolezze nell’organizzazione delle Gardes-Pompes: formazione professionale scarsa, attrezzature rudimentali e mal conservate, organizzazione inefficiente. Due mesi dopo, con il Decreto Imperiale n. 971, vengono sciolte le Gardes-Pompes ed istituito il Bataillon des Sapeurs-Pompiers, primo moderno corpo organizzato per il pronto intervento antincendio.

Sebbene Napoli e Firenze avessero già riorganizzato da qualche tempo il proprio servizio antincendio, il modello d’oltralpe si diffonde anche nella penisola italiana: prima a Milano, dove Eugenio Napoleone di Beauharnais crea la Compagnia di Zappatori Pompieri, con sede nell’ex convento di Sant’Eustorgio; successivamente a Torino, occupata dai francesi dal 1798, dove il vecchio Corpo di Truppa senz’Armi viene soppresso a favore di una nuova organizzazione, la Compagnia Pompisti. Primo intervento voluto dai francesi fu l’abbattimento delle mura cittadine, non ritenute più necessarie con il cambiamento delle strategie di guerra, che ora prevedevano che gli eserciti si affrontassero in campo aperto. Le pompe antincendio che abitualmente si trovavano alle porte della città vennero così ricollocate in Palazzo di Città, dove vi rimasero per ottant’anni. Due anni dopo l’uscita di scena dei francesi, il conte di Revel, governatore della città, ripristina il modello torinese del 1786, molto probabilmente mantenendo la linea organizzativa di quello francese, e rende obbligatoria la presenza di una pompa antincendio in ogni teatro cittadino. I teatri erano i luoghi pubblici dove gli incendi si propagavano con più facilità, sia per il materiale con cui erano costruiti, struttura di legno, sipari di stoffa, imbottiture, sia perché erano gli unici edifici dove era necessaria una potente illuminazione nelle ore notturne. E poi ovviamente, quando scoppiava un incendio, in pochi minuti si trasformavano in una potenziale trappola di morte per centinaia di persone.

L’incendio a Palazzo Chiablese: quando una vicenda personale incide sul corso della Storia

Quando nel febbraio del 1821 un moccolo di candela quasi distrugge Palazzo Chiablese, dimora cittadina di Carlo Felice, allora duca, le operazioni di spegnimento sono nelle mani del Corpo di Truppa senz’Armi, comandati dall’ingegner Pietro Lana.

Pochi mesi dopo questa tragedia evitata, quando Carlo Felice diventa re, probabilmente nella sua mente permane vivido il ricordo delle fiamme.

Nel 1824 con le Regie Patenti istituisce la Compagnia Operaj Guardie a Fuoco per la Città di Torino, un corpo organizzato e professionalizzato, con due stazioni di guardia a Palazzo di Città e a Palazzo Reale.

Ora che gli strumenti di difesa sono stati approntati, serve organizzare quelli di prevenzione. Non che non esistessero compagnie assicurative a quel tempo: le polizze contro gli incendi si stipulavano a Londra dopo l’incendio che aveva distrutto la città nel 1666, ma quello che fece Carlo Felice fu approvare sull’intero regno una forma associativa mutualistica, che prevede che gli assicurati traslino i rischi individuali sulla comunità, evitando così un flusso di capitali verso l’estero, ma mantenendo un respiro internazionale.
Torino si allinea alle assicurazioni delle grandi capitali europee.

Carlo Felice approva e partecipa: attraverso la propria firma decide di proteggere quel “corpo di Casa denominata la Casa Chiablese, situato in Torino, Contrada del Seminario” dai danni che gli incendi potevano provocare, per un valore di 200.000 lire.

La prima polizza di Reale Mutua è dunque firmata.

Quando il fuoco entrò nella casa del re

A Torino, nella tarda sera del 6 febbraio 1821 un incendio divampa nelle soffitte di Palazzo Chiablese, la residenza del duca Carlo Felice di Savoia. Subito entra in azione la squadra dei vigili del fuoco, che doma le fiamme in tre ore. Carlo Felice, scortato fuori dal palazzo, viene raggiunto dal sovrano, Vittorio Emanuele I – che risiede a Palazzo Reale –   e dal nipote Carlo Alberto, che arriva da Palazzo Carignano e partecipa attivamente alle operazioni di spegnimento. Fortunatamente il danno è circoscritto alle sole zone alte della struttura – sottotetti e soffitte – e Palazzo Chiablese, guarito dalle ferite, torna a essere la residenza cittadina di Carlo Felice, anche quando succede al trono del fratello, poche settimane dopo l’evento che stiamo raccontando.

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ACQUA CONTRO FUOCO

UNA GRANDE ORGANIZZAZIONE PER UNA GRANDE MINACCIA

È la seconda metà dell’Ottocento quando, sul rapporto ufficiale della morte della quattordicenne inglese Margaret Davey, si legge per la prima volta “morte accidentale da incendio, causata da crinolina”. La povera domestica, alle prese con i lavori in cucina, non ha visto la sua ampia gonna sostenuta dall’ingabbiatura lignea toccare accidentalmente il braciere. Una disattenzione che si è rivelata fatale.

Ma come lei, moltissime donne dell’epoca rimanevano vittime di roghi per quella sottogonna ingombrante e infiammabile: il New York Times stima, infatti, che nel 1864 furono oltre 400.000 le donne decedute in tutto il mondo a causa della crinolina.

Nel XIX secolo le ustioni continuavano a essere, insieme al parto, la prima causa di morte per le donne. All’interno di ogni abitazione, i pericoli erano ad ogni angolo: lampade ad olio, bracieri, ma anche pericolosi fiammiferi fosforici utilizzati frequentemente e spenti in modo errato, tanto che nel Regno di Sardegna gli abitanti chiesero al Ministero di prendere provvedimenti restrittivi circa il loro utilizzo. Spesso poi, nei quartieri più poveri le cucine erano agli ultimi piani delle case, e il camino non era dotato di canna fumaria, ma c’era solo un buco nel tetto da cui fuoriuscivano fumo e scintille. Il tutto a discapito della sicurezza: era estremamente facile infatti che le fiamme entrassero in contatto con le travature e il rivestimento termico in paglia, dando origine ad un incendio.

Una casa in fiamme spesso significava un intero quartiere in fiamme, se non un’intera città. Materiali edili pericolosi e promiscuità abitativa trasformavano una scintilla in un rogo. Per questo motivo le pene per i piromani erano pesantissime, paragonate a quelle per gli assassini.

Un incendio richiedeva dunque persone, moltissime e allenate, che non solo intervenissero prontamente, ma che adottassero metodi e strumenti in grado di limitare il più possibile i danni e le vittime. É a questo scopo che nella penisola italiana i vari corpi di intervento antincendio vengono progressivamente riorganizzati, ma soprattutto professionalizzati, creando la figura del pompiere. Non più falegnami, muratori o idraulici istruiti per spegnere un incendio, ma professionisti con abilità di falegnami, muratori e idraulici.

Nonostante l’intento, le organizzazioni create sono tutt’altro che efficienti: non essendo sempre e ovunque accasermati, molti membri delle varie Compagnie vengono chiamati di casa in casa e hanno l’obbligo di recarsi presso le stazioni di guardia per vestirsi ed equipaggiarsi. Senza contare che le pompe spesso devono essere portate a forza di braccia tra i vicoli stretti delle città, col risultato che i pompieri arrivano sul luogo dell’incidente stremati.
Un procedimento lungo, capace di inimicare i pompieri alle vittime di un incendio, soprattutto se, a causa di un loro ritardo, queste si trovano a pagare multe e ammende per i danni causati dalle fiamme.

Ma la Rivoluzione industriale arriva, e con lei tutti i vantaggi che derivano dall’impiego del vapore come forza propulsiva su larga scala. Anche la Compagnia dei pompieri coglie l’occasione, avvalendosi della tecnologia parigina. Nel 1883 viene acquistata la prima pompa a vapore da parte del Comune di Torino: un modello Thirion, pura avanguardia nella penisola italiana.

La pompa a vapore, insieme all’impiego della trazione animale, dà una svolta al lavoro del pompiere sabaudo: più veloce, più efficiente, diventa un eroe per i sudditi del Regno di Sardegna, che ne ammirano le gesta ad ogni intervento.

Esempio emblematico è quello di Giuseppe Robino, caporale, che in pochi minuti riesce a salvare da un alloggio in fiamme di via Roma due donne, un bambino e un anziano signore. Un episodio così emozionante per i torinesi da farlo diventare leggenda e da spingere Edmondo De Amicis a parlarne in una delle pagine più belle del suo libro Cuore.

Contro i danni dell'incendio

A fiamme spente, una casa che brucia diventa un rudere da ricostruire.

Al fine di sostenere chi deve farsi carico di queste costose opere, sono sempre di più gli Stati che decidono di investire in forme assicurative.

Nel Regno di Sardegna, a cogliere l’opportunità lanciata da Re Carlo Felice è un giovane avvocato francese, Giuseppe Giulio Lorenzo Henry che, nel prestare servizio presso il Ministero della Guerra parigino, aveva avuto modo di approfondire l’organizzazione amministrativa e tecnica delle Compagnie francesi d’assicurazione.

Al corrente della volontà del Governo sabaudo di istituire una Compagnia assicurativa che proteggesse i sudditi dai danni dell’incendio, nell’ottobre del 1827 Henry presenta al Ministro degli Interni un progetto per la costituzione di un’assicurazione in forma mutualistica.
Progetto che riceve parere favorevole un anno dopo, trovando definitiva attuazione con la firma delle Regie Patenti da parte di Carlo Felice e la nomina dell’avvocato parigino per il ruolo di Direttore Generale. Il 31 dicembre 1828 nasce finalmente la Società Reale d’Assicurazione Generale e Mutua contro gl’Incendi.

Caporale Giuseppe Robino

"Questa mattina io avevo finito di copiare la mia parte del racconto Dagli Appennini alle Ande, e stavo cercando un tema per la composizione libera che ci diede da fare il maestro, quando udii un vocio insolito per le scale, e poco dopo entrarono in casa due pompieri, i quali domandarono a mio padre il permesso di visitare le stufe e i camini, perchè bruciava un fumaiolo sui tetti e non si capiva di chi fosse. Mio padre disse: - Facciano pure, - e benché non avessimo fuoco acceso da nessuna parte, essi cominciarono a girar per le stanze e a metter l’orecchio alle pareti, per sentir se rumoreggiasse il foco dentro alle gole che vanno su agli altri piani della casa. E mio padre mi disse, mentre giravan per le stanze: - Enrico, ecco un tema per la tua composi

La Società Reale Mutua Assicurazioni apre il primo ufficio

Un trafiletto sulla Gazzetta Piemontese del 1829 avvisa i cittadini che "il Direttore Generale della Reale Società di Assicurazione Generale e Mutua contro gl’incendi, stabilita con privilegio in Torino per tutti gli stati di terra ferma di sua Maestà, ha l’onore di fare noto al pubblico che l’ufficio della detta società sarà fra poco organizzato in Piazza Vittorio Emanuele, casa Schiari, e che, provvisoriamente, trovasi aperto in Contrada Bogino n.9, casa Graneri,  ove si ricevono digià le adesioni di tutti i possidenti e altri privati che desiderano di far parte di questa reale e benefica istituzione. Quest’uffizio trovasi aperto, ogni giorno, dalle ore 9 del mattino alle 5 pomeridiane".

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PREVIDENZA E SOCCORSO

Quando nasce nel 1824, la Compagnia Operaj Guardie a Fuoco per la Città di Torino è composta da un capitano, un tenente, due sergenti, otto caporali, trenta operai e una trombetta.

Sono tutti capaci di leggere e scrivere, hanno sana e robusta costituzione e un’altezza non inferiore a 1.60m, caratteristiche non comuni se consideriamo i registri del censimento dei maschi adulti stilati dopo la coscrizione obbligatoria entrata in vigore pochi anni dopo, nel 1830. Leggiamo infatti che, dei soggetti sottoposti alla visita, la metà veniva considerata riformata o rivedibile: in altre parole, si trattava di persone non in grado di reggere un fucile, o di uomini che rientravano tra 1.40m e 1.60m.

Le stazioni di guardia presenti in città si trovavano a Palazzo di Città e a Palazzo Reale. Delle due, una aveva l’obbligo di seguire la famiglia reale negli spostamenti tra le numerose dimore piemontesi.

Il miglioramento del servizio offerto dalle Guardie a Fuoco ha poi in seconda battuta contribuito allo sviluppo positivo del concetto di previdenza: se da un lato i pompieri miglioravano le loro prestazioni nello spegnimento di un incendio, limitando danni a cose e persone, dall’altro la garanzia di un risarcimento sulle conseguenze residue ha fatto sì che la popolazione perdesse progressivamente l’abitudine di "arrangiarsi" (che in tante occasioni si rivela un’arte, ma che di fronte alle fiamme può rivelarsi fatale), diffusa nei periodi storici in cui la città richiedeva il pagamento di una multa ai proprietari delle case oggetto di un incendio.

Vigili del Fuoco e Società Reale Mutua Assicurazioni, il legame tra due realtà

Solo 4 anni separano la nascita di Reale Mutua Assicurazioni, nel 1828, dai documenti con i quali nel 1824 Carlo Felice di Savoia approva il Piano di Organizzazione della Compagnia Operaj Guardie a Fuoco per la Città di Torino.

In entrambi i casi, a dare validità ai progetti sono state le Regie Patenti, atti ufficiali con cui il re legiferava in completa autonomia in merito a questioni di primaria importanza.

In questo caso, Carlo Felice ha usato lo strumento della patente (che in latino significa “aperto”, dall’usanza di consegnare documenti aperti per manifestare la volontà dell’autorità che lo rilasciava) per dar vita ad una creatura bicefala: da un lato, un Corpo che intervenisse a limitare i danni delle fiamme; dall’altro, una Compagnia che indennizzasse lo sventurato, risarcendolo dei danni che il rogo aveva provocato.

Le Regie Patenti di Carlo Felice

«La paterna sollecitudine di S.M. sempre rivolta, non solo ad allargare a pro de’ sudditi le sorgenti della prosperità pubblica, ma a chiudere il varco altresì a quelle calamità che non si possono antivenire, favorì in ogni tempo il commercio e l’Assicurazione con utili istituzioni, col far tener in ottimo stato le strade, coll’aprirne delle nuove, coll’innalzare ponti, e col costringere con argini insuperabili i fiumi e i torrenti a rispettare ed a fecondare le adiacenti campagne. Standole a petto egualmente di andare a riparo de’ gravissimi danni cui soggiacciono anche frequentemente gli edifici ne’ malaugurati casi d’incendio, mirò a scemarne la violenza ed i guasti curando in molte città Compagnie di Guardie del Fuoco, le quali rivaleggiano ovunque di zelo, di coraggio e di ardore per corrispondere allo scopo della loro istituzione; ma non potend

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LE TARGHE INCENDIO

Il curioso che cammina in città con il naso all’insù può imbattersi in una serie di dettagli affascinanti: gargolle, affreschi, bugne, che a volte si celano e altre si mostrano sulle facciate dei palazzi. Tra questi particolari, il curioso avrà sicuramente notato le targhe incendio. In ottone o latta, ovali o rettangolari, le targhe incendio campeggiano ancora su alcuni immobili, non solo in Italia, ma in tutta Europa.

Ma a cosa servono? Oggi, la loro funzione è prevalentemente decorativa. Ma nei secoli scorsi erano un vero e proprio richiamo per chi doveva spegnere un incendio. La storia delle targhe inizia a fine Seicento quando, a seguito del tremendo rogo che nel 1666 devastò due terzi di Londra, si registra la necessità di creare delle strutture in grado di indennizzare chi vedeva i propri immobili distrutti dal fuoco. Il primo ad offrire questo tipo di servizio è un economista, tal Nicholas Barbon, che nel 1680 fonda il Fire Office, prima embrionale compagnia assicurativa al mondo.

Negli anni seguenti, le società si moltiplicano: nel 1683 viene avviata The Friendly Society, nel 1696 Hand-in-Hand Fire Office, 14 anni dopo Sun Fire Office e molte altre. Erano tempi, quelli del Fire Office, in cui ancora non esisteva un servizio pubblico di estinzione degli incendi (nato poi nel 1865), decisamente frequenti per via del materiale di costruzione delle case: per questo, lo stesso dottor Barbon dà vita alla Fire Brigade, primo corpo di uomini addestrati ed equipaggiati per lottare contro il fuoco quando colpisce gli immobili assicurati dal Fire Office. Un uso che si diffonderà presto presso le altre società.

Le targhe incendio nascono dalla necessità di individuare le case assicurate dalla Compagnia a cui apparteneva la brigata. Tra il ‘700 e l’800 le assicurazioni londinesi si associano al fine di creare un coordinamento unitario delle brigate dei pompieri, e le targhe incendio perdono progressivamente la loro prima finalità, ma mantengono un grande potere evocativo e simbolico: contro gli incendi appiccati per vendetta, per esempio, dal momento che al proprietario sarebbe stato risarcito il danno derivato dalla perdita dei suoi beni, o contro i saccheggi, perché in quel caso si sarebbe aperta un’inchiesta per accertare le responsabilità. Anche l’abitudine di apportare sulla targa il numero di polizza andrà perdendosi con il delinearsi di una toponomastica cittadina sempre più precisa.

Oggi, quelle stesse targhe rimangono lì, affisse agli edifici, come un decoro, un simbolo di un antico privilegio ormai decaduto per un principio assai più equo: domare le fiamme, sempre e ovunque.

L’iconografia delle targhe Reale Mutua

Anche Reale Mutua ha prodotto una serie di targhe incendio da affiggere sugli edifici assicurati.

In latta o zinco, a monocromo o con caratteri dorati su sfondo scuro, ogni piastra prodotta era frutto di uno studio iconografico eseguito su modello del Direttore Generale.

Mentre le prime riportavano una figura femminile dormiente, allegoria della Securitas, la dea romana personificazione della sicurezza spesso raffigurata sulle monete con il motto «Securitas Imperium», per le versioni successive viene scelta l’immagine dello scudo sabaudo con croce d’argento su campo rosso. Un’iconografia che la Società recupererà in altri contesti e riproporrà in veste grafica sempre nuova, come quella studiata da Marcello Dudovich in occasione del Centenario di Reale Mutua (1928).

Prodotte al costo di una lira e cinquanta centesimi, ogni targa doveva essere «rimessa a ciascun socio […] colla iscrizione: Società Reale d’Assicurazioni generale e mutua contro l’incendio. Torino», secondo lo Statuto del 1829, ed esposta obbligatoriamente sull’edificio assicurato; nei primi anni di vita della Compagnia, la mancata esposizione della piastra comportava una decurtazione del 25% dell’eventuale indennizzo in caso di incendio.

Dal 1924, quando la Compagnia inizia a gestire anche gli altri rami di danni, le targhe riportano l’attuale denominazione, Società Reale Mutua d’Assicurazioni, a testimonianza di un’evoluzione importante della Compagnia a seguito della crescita dei servizi offerti.

Con il passare del tempo e soprattutto con la creazione di una tassa graduale di bollo, ritenuta esorbitante dalle compagnie assicurative in rapporto all’utile che l’esposizione della targa poteva arrecare, intorno al 1947 l’uso delle piastre venne progressivamente abbandonato anche da Reale Mutua.

Il Grande incendio di Londra

In metallo per resistere alle alte temperature e di colore acceso per essere individuate anche in condizioni di scarsa visibilità, le targhe incendio comparvero per la prima volta sulle facciate delle case londinesi dopo il devastante incendio che, partito dalla casa di un fornaio, nel settembre 1666 distrusse l’80% della città.

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I GRANDI INCENDI

Materiali da costruzione altamente infiammabili, incuria, disattenzione, imprevidenza, incapacità di calcolare il rischio sono gli ingredienti micidiali che in passato portavano allo scoppiare degli incendi più distruttivi. Il fuoco è sempre stato il principale nemico delle città e fino a dove la documentazione cartacea ci accompagna nello studio del passato, troviamo prova del grande impegno profuso dalle amministrazioni cittadine se non a combatterlo, perché le risorse tecnologiche non lo permettevano, quantomeno a prevenirlo.

Venivano abbattuti i quartieri dove le case erano troppo ammassate e si costruivano vie ampie, spaziose; si vietava l’accumulo di materiale infiammabile lungo le strade e la costruzione di tettoie in legno nei luoghi dove era più intensa la vita pubblica. Tramite banditori preceduti da tamburi, così che non si potesse fingere di non essere venuti a conoscenza dell’avviso, si dava indicazione di sostituire la paglia delle coperture dei tetti con mattoni e tegole ben cotti. Si organizzavano turni di guardia su torri e campanili per dare un tempestivo avviso, con le campane, dell’insorgere di un incendio. Si incaricava il capofamiglia in ogni abitazione di rientrare entro un orario stabilito e di coprire il fuoco prima di andare a dormire: da qui la parola coprifuoco. Si organizzavano pattugliamenti di controllo nelle giornate ventose, quando era vietato accendere fuochi in casa e fuori. Ai colpevoli di azioni incendiarie si applicavano pene paragonabili a quelle degli assassini.

Grandi sforzi per la prevenzione, insomma, che però poco potevano contro le innumerevoli variabili che portavano allo sprigionarsi e al propagarsi di un incendio.
E così bruciavano le case, i teatri, spesso intere città. E se poco si può fare mentre la bestia è in azione, molto di più si può fare quando torna il silenzio tra le ceneri fumanti. A ogni evento di grande portata, storicamente ma anche ai giorni nostri, è seguito uno sforzo riorganizzativo che ha apportato miglioramenti negli interventi dei Corpi dei Vigili del Fuoco.

In caso di sinistro

La luce, in tutta l’antichità, ha giocato un ruolo fondamentale, sia nella sfera del reale, sia nella sfera magica e religiosa. L’est, il luogo da dove il sole compariva, era la regione celeste sede delle divinità benefiche e della ragione: la Terra, il Sole, la natura, il padre degli dei, i custodi delle vite terrene e ultraterrene. L’ovest, l’occidente, dove il sole scompare lasciando spazio all’oscurità, era considerata la pars hostilis, la casa delle divinità infernali, di quelle da cui dipende la sorte degli uomini, e delle passioni che impongono il dominio sulla ragione, Saturno, il Fato, Silvano, Bacco. Che l’ovest stia a destra o a sinistra ovviamente dipende dalla posizione del soggetto nei confronti del nord; nella nostra cultura ha prevalso quella che guarda a nord, tanto che noi consideriamo sempre l’est a dESTra (un modo per ricordarlo), e l’ovest a sinistra. Attraverso i millenni, la parola ‘sinistro’ è arrivata fino a noi mantenendo il significato di ‘avverso, sfavorevole, funesto’, fino a significare il danno che una compagnia assicurativa deve liquidare.

Agli albori della Reale Mutua Assicurazioni le denunce di sinistro erano vagliate con la massima attenzione e quando sorgeva un sospetto di truffa era l’ispettore della Società, o il Direttore Generale in persona, a investigare sul caso.

Per raccogliere le informazioni, la Compagnia si affidava alla collettività, anche offrendo una ricompensa: chiunque avesse potuto fare da testimone ai fatti denunciati in sede assicurativa, avrebbe ricevuto una somma di denaro in cambio del servizio offerto.

La Savoia brucia

Sallanches è un piccolo villaggio della Savoia, un luogo di passaggio per le valli di Chamonix e Mégève. Ricca piazza di mercato grazie alle sue manifatture tessili e siderurgiche, Sallanches ha saputo stringere ottimi rapporti commerciali con Ginevra e con tutto il dipartimento del Lemano e i suoi abitanti, instancabili lavoratori, si allietano dalle proprie fatiche all’interno di grandi case e poderi, con vista sui boschi e sui torrenti del territorio. Abitazioni accoglienti, calde, costruite secondo le tradizioni locali: interamente in legno.

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L'ultimo grande spettacolo

8 febbraio 1936, ore 21.00. Al Teatro Regio è tutto pronto: il bigliettaio strappa i biglietti, il pubblico si accomoda sulle poltrone e Giuseppe Mulè dà le ultime raccomandazioni ai suoi attori.

Il sipario si apre e Liolà va in scena.

Scritta un anno prima e basata sull’omonima opera di Luigi Pirandello, la commedia del maestro Mulè, che aveva debuttato al San Carlo di Napoli un anno prima, sta riscuotendo un discreto successo sia da parte del pubblico che della critica. «Una tessitura folcloristica siciliana con gustose scenette e passaggi pittoreschi», secondo il Corriere della Sera.

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Il dolo e la pena

Anche nel Regno di Sardegna, una volta introdotta l’assicurazione, non mancarono quegli assicurati che cercavano di lucrare sulle polizze. Il crimine, o se vogliamo la truffa, nasce nel momento stesso in cui se ne producono le occasioni. Ci furono quindi fin dall’inizio alcuni casi di incendi dolosi appiccati per riscuotere una "indebita indennizzazione" da parte della compagnia assicuratrice.

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LA PROFESSIONALITÀ DÀ SPETTACOLO

I POMPIERI ALLE ESPOSIZIONI UNIVERSALI

Le Esposizioni di Torino del 1911 e del 1928 sono state l’occasione per i Corpi dei Vigili nazionali e internazionali sia di incontrarsi e confrontarsi, sia di dare dimostrazione di abilità professionali e acrobatiche.
In entrambe le occasioni, i concorsi pompieristici si sono svolti allo Stadium, che era stato costruito nel 1911 ed era allora il più grande d’Italia, con una capienza di 60.000 persone: un'area che dagli anni Sessanta ospita il Politecnico di Torino. L’idea, decisamente grandiosa, era stata quella di costruire un villaggio a cui poi veniva dato fuoco e intorno al quale si avvicendavano nelle operazioni di spegnimento le varie squadre.

In entrambe le occasioni migliaia di pompieri italiani e stranieri, a cui si aggiunsero anche quelli aziendali, cioè operanti all’interno di aziende private, si riversarono in città, in una gioiosa invasione.

L’Esposizione Internazionale del 1928 fu particolarmente spettacolare: il fronte di edifici, costruiti con solette di cemento, capriate lignee e tetti di tegole, misurava 200 metri, e 2000 pompieri con 300 automezzi si cimentarono in spettacolari interventi di spegnimento. Le prove di forza e abilità occuparono anche la prima pagina della Domenica del Corriere del 26 agosto 1928, dove si vedono 6 pompieri in pantaloncini bianchi e maglietta bicolore intenti a mantenere sospeso con l’ausilio delle lance un grosso pallone.

Reale Mutua e le Esposizioni Universali

Le Esposizioni Universali sono il momento in cui l’umanità si incontra e mette in scena le soluzioni tecnologiche alle sfide mondiali contemporanee. Sono piattaforme di connessione tra governi, aziende, organizzazioni internazionali e cittadini e nello stesso tempo palcoscenici in cui va in scena uno spettacolo grandioso e coinvolgente.

Dagli esordi a Londra nel 1851, le Esposizioni Universali hanno ospitato milioni di visitatori e cambiato in modo permanente il volto delle città che le hanno ospitate. Dal 1851 al 1933 i temi prevalenti sono stati l’agricoltura, l’industria, la tecnologia, l’educazione, le arti. Interessanti i temi delle due Esposizioni a cavallo tra ‘800 e ‘900: "la vita moderna" e "valutazioni di un secolo". A partire dal 1958, centrale è diventato l’equilibrio tra uomo e ambiente naturale, da "valutazione del mondo per un mondo più umano" del 1958 a "progresso e armonia per l’umanità" del 1970, fino a "connettere le menti, creare il futuro" di Expo 2022 a Dubai.

Tra Otto e Novecento Reale Mutua partecipa a numerose esposizioni nazionali e internazionali, presentandosi al grande pubblico con allestimenti scenografici, in cui diagrammi e plastici illustrano la storia della Compagnia e i traguardi raggiunti nel tempo. 

Per la Compagnia, che nel 1928 conta 420.000 soci tra cui il Re Vittorio Emanuele III e il Duca d’Aosta Emanuele Filiberto, l'Esposizione Universale è l'occasione perfetta per i bilanci che, nel padiglione Cooperazione, Mutualità e Previdenza, sono rappresentati con il plastico di un grande bacino idrico dove gli immissari costituiscono le entrate, mentre gli emissari le uscite (i sinistri e le spese generali). Il plastico di un edificio parzialmente distrutto dal fuoco, invece, rappresenta la quota degli incassi andata a copertura dell’indennizzo dei sinistri.

Le Esposizioni del 1911 e del 1928

Excelsior, "Più in alto!", titola la prima pagina de La Stampa di sabato 29 aprile 1911, in occasione dell’inaugurazione dell’Esposizione Universale di Torino che ha come tema le industrie e il lavoro. "Oggi inauguriamo a Torino una delle più grandi esposizioni alle quali abbiano mai partecipato i popoli del mondo moderno".

A cinquant’anni dall’Unità d’Italia il morale della nazione è altissimo, la fiducia nel futuro incommensurabile. "Col sempre ritornante sorriso del cielo, l’aprile ci reca quest’anno l’augurio di sorti novelle […].

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